Piove. Il cielo grigio regala acqua alla terra riarsa. Enormi gocce crollano sul terreno con un ritmo asfissiante. Opprimente. Confusionale. Sembra che Dio oggi voglia tergiversare. Il clacson di una macchina mi scuote per un momento, poi torno nel battere onirico della pioggia. Il rumore è inteso sulle foglie dell'agave. Sottile sul cipresso. Per un attimo mi vedo in un pineto, ma subito mi accorgo che ho letto troppo. Inizio a prodigarmi in grandi passi, percorro il breve tratto di strada che mi separa dalla conclusione del mio viaggio. In partenza ero poco fiducioso, ora lo sono ancora di meno, ma non è una scusa. Il rovescio si trasforma in temporale. Lampi. E tuoni. Il traffico si fa più nervoso ora. Strascicando le parole parlo con un passante. Gli chiedo un'informazione, mi dice di alzare la voce. Lo faccio, non mi sente ancora. Mi sento gridare, l'uomo indica cordialmente una via. È sicuro sia proprio quella che sto cercando. Mi fido, non posso fare altrimenti. Attraverso la strada, entro nel viottolo, svolto a destra, poi a sinistra, ancora la seconda su quel lato. Salgo delle scale, la porta automatica mi invita ad entrare. Cammino a passi lenti. Riconosco il posto, ma non ho fretta. Ho la certezza di ciò che troverò una volta varcata l'ennesima soglia. Sento le dita che iniziano a gonfiarsi. È umido qui dentro. Le tempie mi pulsano. È tutto così silenzioso. Eccola, la mia porta. La apro e fuori è notte. Una pozzanghera resite nella strada. Mi guardo. Ho la faccia sporca. Non mi interessa. Ora che mi sono ritrovato, nel fondo melmoso di una giornata piovosa, sono pronto per perdermi di nuovo. Potrei cominciare a correre, ma sono stanco. Entro nel bar all'angolo. Mi siedo su uno sgabello, nei pressi del bancone e ordino da bere. Whisky. Senza ghiaccio. Ne prendo un sorso e inizio a guardarmi in giro. Un uomo seduto a un tavolo da solo. Mi avvicino. Mi fa cenno di accomodarmi. Gli ripeto per l'ennesima volta che la notte è il momento giusto. Scuote la testa, non vuole ascoltarmi. Gli dico ancora una volta che i vampiri non esistono più. Ma lui è testardo, si alza e se va di sopra. Non lo seguo. Non mi va. Esco da questo pub privo di sensazioni. Mi rifugio nel mio castello. Tra i ritratti dei morti e le meraviglie dimenticate dai vivi. Mi tolgo l'impermeabile. Mi rimetto gli stracci consunti. Esco dalla pusterla sul lato Est. Riprendo il cammino, vuoto di speranze.